Apprendimento
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Apprendimento
L'apprendimento dei bambini
a cura di Enrico Loi
Dimostrato che da bambini è più facile imparare le lingue.
Lo studio di un gruppo di ricercatori dell'Università Vita-Salute San Raffaele ha dimostrato che da adulti il cervello è costretto a "lavorare di più" per imparare la seconda lingua. Il linguista Andrea Moro: "Confermate le teorie di Chomsky".
Esiste un "periodo critico" del nostro sviluppo durante il quale il cervello è in condizioni ideali per acquisire una lingua?
E se impariamo una seconda lingua da adulti cosa succede?
Un recente studio condotto da ricercatori dell'Università Vita-Salute San Raffaele e dell'Università di Berlino dà una risposta a queste domande. Lo studio sarà pubblicato sul numero del 9 gennaio di Neuron, una delle più prestigiose riviste scientifiche del settore. I ricercatori hanno studiato con la Risonanza magnetica funzionale l'attività del cervello in soggetti bilingui per italiano e tedesco mentre ascoltavano delle frasi nelle due lingue.
I soggetti erano tutti di madrelingua italiana ma appartenevano a tre gruppi diversi. Il primo era costituito da soggetti che avevano imparato il tedesco da poco e in modo imperfetto. Gli altri due gruppi invece avevano una padronanza perfetta delle due lingue e ciò che li differenziava era solo quando avevano imparato la seconda lingua: da piccoli oppure da adulti. Innanzi tutto l'analisi dell'attività del cervello con Risonanza magnetica ha dimostrato che nell'uso della seconda lingua il cervello si attivava in modo differente tra i soggetti del primo gruppo e quelli degli altri due. Questo risultato ha confermato alcuni studi precedenti eseguiti al San Raffaele: quanto meglio si conosce la seconda lingua, tanto più il cervello si attiva come per la lingua madre.
Tra i due gruppi ad elevata padronanza della seconda lingua esiste invece una differenza: quando i soggetti dovevano fare un esercizio di grammatica (ad esempio decidere se la frase "i topi mangia il formaggio" fosse corretta), pur eseguendo tutti il compito perfettamente, le persone che avevano appreso la seconda lingua da adulti attivavano una porzione più ampia dei lobi frontali di quanto normalmente accade per la lingua madre. Invece, se il compito era decidere se le frasi nella seconda lingua erano corrette sul piano del significato, (ad esempio se la frase "i cani possono volare" aveva senso) non si rilevava nessuna differenza tra i due gruppi.
"Questa scoperta suggerisce che in effetti esiste durante l'infanzia un momento "magico" in cui il cervello è in condizioni ottimali per acquisire una lingua." - commenta Stefano Cappa, preside della facoltà di Psicologia dell'Università Vita-Salute San Raffaele e coautore della pubblicazione- "Superato questo periodo critico è sempre possibile imparare molto bene una seconda lingua ma con uno sforzo ed una applicazione ben diversa: per quanto riguarda la grammatica il cervello dell'adulto continuerà a trattare la lingua appresa in modo differente a quello della lingua madre." "E' anche possibile che questo meccanismo neurologico" - continua Cappa - "sia alla base delle sottili difficoltà ad utilizzare in modo "perfettamente preciso" la seconda lingua avvertite da quelle persone che pure ne hanno elevata padronanza."
Andrea Moro, ordinario di Linguistica Generale della facoltà di Psicologia dell'Università "Vita-Salute" San Raffaele, commenta questi risultati: "La grande rilevanza del lavoro in questione è duplice. Da una parte si tratta di un'ulteriore conferma dell'ipotesi centrale della cosiddetta grammatica generativa, originariamente proposta dal linguista americano Noam Chomsky negli anni '50: l'acquisizione del linguaggio è, per così dire, "pilotata" da una guida biologicamente predeterminata. Dall'altra, è la dimostrazione che quando si apprende una lingua straniera, perché si attivi nel cervello la parte dedicata al linguaggio, non conta il livello della padronanza bensì l'età di apprendimento." "Le ricadute sul piano pratico - continua Andrea Moro - "sono ovviamente tanto importanti quanto quelle teoriche in quanto ribadiscono a livello strettamente neurologico l'importanza che la didattica delle lingue straniere avvenga nei primi anni di vita del bambino. Con questo lavoro si ha dunque una conferma sostanziale della validità della grammatica generativa e delle sue applicazioni in campo biopsicologico sperimentale."
Lo studio è stato finanziato dall'Unione Europea, dall'ente di ricerca Deutsche Forschungsgemeinschaft e dall'Università di Berlino.
Per informazioni: Laura Arghittu, tel. +39 02.2643.3000
Studio pubblicato su Neuron, gennaio 2003 Early Setting of Grammatical Processing in the Bilingual Brain Isabell Wartenburger (1), Hauke R. Heekeren (1,2), Jubin Abutalebi (3), Stefano F. Cappa (3), Arno Villringer (1), Daniela Perani (3)
1. Department of Neurology, Charité, Humboldt-University, Berlin, Germany 2. Lab of Brain and Cognition, NIHM, NIH, Bethesda, USA 3. Università Vita-Salute San Raffaele e Istituto di Neuroscienze e Bioimaging, CNR, Milano, Italia.
a cura di Enrico Loi
Dimostrato che da bambini è più facile imparare le lingue.
Lo studio di un gruppo di ricercatori dell'Università Vita-Salute San Raffaele ha dimostrato che da adulti il cervello è costretto a "lavorare di più" per imparare la seconda lingua. Il linguista Andrea Moro: "Confermate le teorie di Chomsky".
Esiste un "periodo critico" del nostro sviluppo durante il quale il cervello è in condizioni ideali per acquisire una lingua?
E se impariamo una seconda lingua da adulti cosa succede?
Un recente studio condotto da ricercatori dell'Università Vita-Salute San Raffaele e dell'Università di Berlino dà una risposta a queste domande. Lo studio sarà pubblicato sul numero del 9 gennaio di Neuron, una delle più prestigiose riviste scientifiche del settore. I ricercatori hanno studiato con la Risonanza magnetica funzionale l'attività del cervello in soggetti bilingui per italiano e tedesco mentre ascoltavano delle frasi nelle due lingue.
I soggetti erano tutti di madrelingua italiana ma appartenevano a tre gruppi diversi. Il primo era costituito da soggetti che avevano imparato il tedesco da poco e in modo imperfetto. Gli altri due gruppi invece avevano una padronanza perfetta delle due lingue e ciò che li differenziava era solo quando avevano imparato la seconda lingua: da piccoli oppure da adulti. Innanzi tutto l'analisi dell'attività del cervello con Risonanza magnetica ha dimostrato che nell'uso della seconda lingua il cervello si attivava in modo differente tra i soggetti del primo gruppo e quelli degli altri due. Questo risultato ha confermato alcuni studi precedenti eseguiti al San Raffaele: quanto meglio si conosce la seconda lingua, tanto più il cervello si attiva come per la lingua madre.
Tra i due gruppi ad elevata padronanza della seconda lingua esiste invece una differenza: quando i soggetti dovevano fare un esercizio di grammatica (ad esempio decidere se la frase "i topi mangia il formaggio" fosse corretta), pur eseguendo tutti il compito perfettamente, le persone che avevano appreso la seconda lingua da adulti attivavano una porzione più ampia dei lobi frontali di quanto normalmente accade per la lingua madre. Invece, se il compito era decidere se le frasi nella seconda lingua erano corrette sul piano del significato, (ad esempio se la frase "i cani possono volare" aveva senso) non si rilevava nessuna differenza tra i due gruppi.
"Questa scoperta suggerisce che in effetti esiste durante l'infanzia un momento "magico" in cui il cervello è in condizioni ottimali per acquisire una lingua." - commenta Stefano Cappa, preside della facoltà di Psicologia dell'Università Vita-Salute San Raffaele e coautore della pubblicazione- "Superato questo periodo critico è sempre possibile imparare molto bene una seconda lingua ma con uno sforzo ed una applicazione ben diversa: per quanto riguarda la grammatica il cervello dell'adulto continuerà a trattare la lingua appresa in modo differente a quello della lingua madre." "E' anche possibile che questo meccanismo neurologico" - continua Cappa - "sia alla base delle sottili difficoltà ad utilizzare in modo "perfettamente preciso" la seconda lingua avvertite da quelle persone che pure ne hanno elevata padronanza."
Andrea Moro, ordinario di Linguistica Generale della facoltà di Psicologia dell'Università "Vita-Salute" San Raffaele, commenta questi risultati: "La grande rilevanza del lavoro in questione è duplice. Da una parte si tratta di un'ulteriore conferma dell'ipotesi centrale della cosiddetta grammatica generativa, originariamente proposta dal linguista americano Noam Chomsky negli anni '50: l'acquisizione del linguaggio è, per così dire, "pilotata" da una guida biologicamente predeterminata. Dall'altra, è la dimostrazione che quando si apprende una lingua straniera, perché si attivi nel cervello la parte dedicata al linguaggio, non conta il livello della padronanza bensì l'età di apprendimento." "Le ricadute sul piano pratico - continua Andrea Moro - "sono ovviamente tanto importanti quanto quelle teoriche in quanto ribadiscono a livello strettamente neurologico l'importanza che la didattica delle lingue straniere avvenga nei primi anni di vita del bambino. Con questo lavoro si ha dunque una conferma sostanziale della validità della grammatica generativa e delle sue applicazioni in campo biopsicologico sperimentale."
Lo studio è stato finanziato dall'Unione Europea, dall'ente di ricerca Deutsche Forschungsgemeinschaft e dall'Università di Berlino.
Per informazioni: Laura Arghittu, tel. +39 02.2643.3000
Studio pubblicato su Neuron, gennaio 2003 Early Setting of Grammatical Processing in the Bilingual Brain Isabell Wartenburger (1), Hauke R. Heekeren (1,2), Jubin Abutalebi (3), Stefano F. Cappa (3), Arno Villringer (1), Daniela Perani (3)
1. Department of Neurology, Charité, Humboldt-University, Berlin, Germany 2. Lab of Brain and Cognition, NIHM, NIH, Bethesda, USA 3. Università Vita-Salute San Raffaele e Istituto di Neuroscienze e Bioimaging, CNR, Milano, Italia.
Re: Apprendimento
Linguaggio e cervello
di: Massimo Piattelli Palmarini
La scoperta fatta da ricercatori italiani e tedeschi pubblicata sulla rivista "Nature Neuroscience" Le regole del linguaggio sono istintive e "occupano" una precisa area.
ANSA - Roma, 22 giugno 2003
Il linguaggio si impara per istinto, obbedendo alle regole dettate dalla biologia. Esiste infatti una zona specializzata del cervello, chiamata area di Broca, nella quale nasce la grammatica. Lo ha scoperto una ricerca condotta in collaborazione tra Italia e Germania e pubblicata sulla rivista internazionale Nature Neuroscience. "La nostra scoperta è la prima dimostrazione biologica dell'esistenza di una struttura che organizza la cosiddetta Grammatica universale ipotizzata dal linguista Noam Chomsky", ha detto il linguista Andrea Moro, dell'Università Vita e Salute del San Raffaele di Milano, che ha condotto la ricerca in collaborazione con Mariacristina Musso, Cornelius Weiller e Christian Buchel dell'Università di Amburgo.
La ricerca è stata condotta su due gruppi di volontari tedeschi, alle prese con l'apprendimento di frasi italiane e giapponesi, alcune delle quali corrette, altre invece costruite a tavolino da Moro con regole grammaticali inesistenti e impossibili. Tecniche di neuroimmagine hanno permesso di osservare che l'area di Broca si attivava solo quando i volontari imparavano frasi basate su regole grammaticali vere. Quando invece le frasi erano costruite su regole impossibili, l'area di broca restava spenta, ed entravano in gioco, altre aree del cervello, senza un preciso ordine.
Il Dottor Massimo Piattelli Palmarini scrive in merito:
L’articolo pubblicato lo scorso 23 GIUGNO n.d.a. sull’autorevole Nature Neuroscience da un’equipe italo-tedesca di neurologi e linguisti dell’Università San Raffaele di Milano, dell’Università di Amburgo e dell’Università Schiller di Jena, inserisce il decisivo ultimo tassello in un rompicapo che ci riguarda tutti, in quanto esseri umani dotati di linguaggio. Ben sappiamo, ormai, che le lingue differiscono tra di loro per le parole e per la forma esterna, ma che condividono in profondità una struttura comune, la famosa “grammatica universale”, messa in luce dal linguista americano Noam Chomsky quasi esattamente mezzo secolo fa. L’esistenza di questa grammatica universale fa sì che le lingue e i dialetti oggi ancora esistenti, quelli purtroppo scomparsi, e perfino quelli che potrebbero in astratto esistere, ma di fatto non esistono (le cosiddette lingue umane naturali “possibili”) abbiano tutti in comune alcune strutture interne e alcune operazioni sintattiche basilari.
Queste strutture e operazioni sono, prese tutte insieme, diverse da altre che la mente umana è anche capace di apprendere a riconoscere e manipolare, pezzo per pezzo, magari divertendosi, ma con fatica. Un’autentica regola grammaticale, quindi, per quanto complessa, è, per noi esseri umani, del tutto naturale, mentre una regola astratta, superficialmente simile, è per noi innaturale. La prima attiva risorse di calcolo mentale del tutto diverse dalla seconda. Dati inoppugnabili su questa diversità, al livello mentale, erano stati raccolti in Inghilterra dal linguista Neil Smith una quindicina di anni or sono. Smith e collaboratori insegnarono a soggetti normali e a rarissimi pazienti con capacità linguistiche intatte, ma con intelligenza generale gravemente compromessa, sia lingue vere a loro ignote, sia lingue artificiali, rette da regole non naturali.
La diversità dei risultati emerse netta: le regole autentiche delle lingue vere vennero apprese abbastanza rapidamente da tutti, mentre l’apprendimento delle regole innaturali venne vissuto come un gioco di enigmistica dai soggetti normali, e risultò del tutto impossibile per quei pazienti. In questi ultimi anni, era insorto il sospetto che fossero distinte regioni del cervello ad elaborare queste distinte classi di operazioni mentali. Il passaggio dalla mente al cervello diventa oggi sempre più diretto, grazie a raffinate e non invadenti tecniche di imaging, come ad esempio la Risonanza Magnetica Funzionale. Si è potuto, quindi, verificare che questo sospetto corrisponde alla realtà. La scoperta è stata fatta sulla base di un progetto sperimentale ideato da Andrea Moro, professore di linguistica generale presso la facoltà di Psicologia dell'Università San Raffaele di Milano, ed è stato eseguito sulla risonanza magnetica dell'Ospedale Universitario di Amburgo dalla dottoressa Mariacristina Musso.
Il metodo di verifica, assai raffinato, ma riassumibile in termini semplici, è consistito nell’insegnare (letteralmente) a dei soggetti tedeschi, privi di qualsiasi familiarità con l’italiano e con il giapponese, delle regole della grammatica. Tra le regole autentiche venivano ad arte inserite anche delle regole linguisticamente impossibili, ma assai semplici. Le frasi si susseguivano sullo schermo di un computer, mentre i soggetti giacevano “incassati” entro l’apparecchiatura di risonanza magnetica e giudicavano, via via, se la regola veniva rispettata o meno. Ad esempio, i soggetti imparavano, tra le regole possibili, che, a differenza del tedesco, per fare una frase in italiano non è necessario esprimere il soggetto come in "leggo molti bei libri"; invece, come regola impossibile imparavano che la negazione andava messa sempre esattamente dopo la terza parola. Per esempio, per negare la frase precedente dovevano dire: "leggo molti bei non libri". Tale regola è “impossibile” perché in nessuna lingua del mondo la negazione occupa un posto fisso nella sequenza delle parole. Procedure analoghe sono state applicate al giapponese, lingua ancora più dissimile dal tedesco di quanto non sia l’italiano.
Il risultato è stato che solo quando i soggetti apprendevano le regole possibili si attivava un'area del cervello tipica del linguaggio (la cosiddetta area di Broca, che ha un equivalente anche nei primati ma non è così evoluta come nell'uomo). Quando il cervello deve apprendere regole impossibili, invece, questa area sembra addirittura disattivarsi! Andrea Moro mi precisa: “Uno scopo centrale delle moderne ricerche in linguistica è quello di ben caratterizzare la classe delle lingue umane possibili, assai più di quello di descrivere le lingue esistenti. Dopo cinquant’anni di ricerche, questa scoperta conferma che non si tratta solo di un’utile classificazione di comodo. La classe delle lingue umanamente possibili corrisponde, infatti, ad un’elaborazione effettuata da aree specifiche del cervello. L’ipotesi che l’acquisizione del linguaggio nel bambino avviene sotto una guida biologicamente determinata viene così corroborata”. L’austera rivista scientifica ha intitolato l’articolo di Moro e collaboratori (traduco in italiano usando regole del tutto naturali): “L’area di Broca e l’istinto del linguaggio”. È facile prevedere che oggi spunterà un sorriso sul volto di Chomsky e su quello di Steven Pinker, autore del best seller internazionale intitolato, appunto, “L’istinto del linguaggio”.
Autore: Massimo Piattelli Palmarini
Fonte: Ospedale San Raffaele di Milano
Ente: Università San Raffaele di Milano
Phone: +3902 2643 2757 (area ricerca)
di: Massimo Piattelli Palmarini
La scoperta fatta da ricercatori italiani e tedeschi pubblicata sulla rivista "Nature Neuroscience" Le regole del linguaggio sono istintive e "occupano" una precisa area.
ANSA - Roma, 22 giugno 2003
Il linguaggio si impara per istinto, obbedendo alle regole dettate dalla biologia. Esiste infatti una zona specializzata del cervello, chiamata area di Broca, nella quale nasce la grammatica. Lo ha scoperto una ricerca condotta in collaborazione tra Italia e Germania e pubblicata sulla rivista internazionale Nature Neuroscience. "La nostra scoperta è la prima dimostrazione biologica dell'esistenza di una struttura che organizza la cosiddetta Grammatica universale ipotizzata dal linguista Noam Chomsky", ha detto il linguista Andrea Moro, dell'Università Vita e Salute del San Raffaele di Milano, che ha condotto la ricerca in collaborazione con Mariacristina Musso, Cornelius Weiller e Christian Buchel dell'Università di Amburgo.
La ricerca è stata condotta su due gruppi di volontari tedeschi, alle prese con l'apprendimento di frasi italiane e giapponesi, alcune delle quali corrette, altre invece costruite a tavolino da Moro con regole grammaticali inesistenti e impossibili. Tecniche di neuroimmagine hanno permesso di osservare che l'area di Broca si attivava solo quando i volontari imparavano frasi basate su regole grammaticali vere. Quando invece le frasi erano costruite su regole impossibili, l'area di broca restava spenta, ed entravano in gioco, altre aree del cervello, senza un preciso ordine.
Il Dottor Massimo Piattelli Palmarini scrive in merito:
L’articolo pubblicato lo scorso 23 GIUGNO n.d.a. sull’autorevole Nature Neuroscience da un’equipe italo-tedesca di neurologi e linguisti dell’Università San Raffaele di Milano, dell’Università di Amburgo e dell’Università Schiller di Jena, inserisce il decisivo ultimo tassello in un rompicapo che ci riguarda tutti, in quanto esseri umani dotati di linguaggio. Ben sappiamo, ormai, che le lingue differiscono tra di loro per le parole e per la forma esterna, ma che condividono in profondità una struttura comune, la famosa “grammatica universale”, messa in luce dal linguista americano Noam Chomsky quasi esattamente mezzo secolo fa. L’esistenza di questa grammatica universale fa sì che le lingue e i dialetti oggi ancora esistenti, quelli purtroppo scomparsi, e perfino quelli che potrebbero in astratto esistere, ma di fatto non esistono (le cosiddette lingue umane naturali “possibili”) abbiano tutti in comune alcune strutture interne e alcune operazioni sintattiche basilari.
Queste strutture e operazioni sono, prese tutte insieme, diverse da altre che la mente umana è anche capace di apprendere a riconoscere e manipolare, pezzo per pezzo, magari divertendosi, ma con fatica. Un’autentica regola grammaticale, quindi, per quanto complessa, è, per noi esseri umani, del tutto naturale, mentre una regola astratta, superficialmente simile, è per noi innaturale. La prima attiva risorse di calcolo mentale del tutto diverse dalla seconda. Dati inoppugnabili su questa diversità, al livello mentale, erano stati raccolti in Inghilterra dal linguista Neil Smith una quindicina di anni or sono. Smith e collaboratori insegnarono a soggetti normali e a rarissimi pazienti con capacità linguistiche intatte, ma con intelligenza generale gravemente compromessa, sia lingue vere a loro ignote, sia lingue artificiali, rette da regole non naturali.
La diversità dei risultati emerse netta: le regole autentiche delle lingue vere vennero apprese abbastanza rapidamente da tutti, mentre l’apprendimento delle regole innaturali venne vissuto come un gioco di enigmistica dai soggetti normali, e risultò del tutto impossibile per quei pazienti. In questi ultimi anni, era insorto il sospetto che fossero distinte regioni del cervello ad elaborare queste distinte classi di operazioni mentali. Il passaggio dalla mente al cervello diventa oggi sempre più diretto, grazie a raffinate e non invadenti tecniche di imaging, come ad esempio la Risonanza Magnetica Funzionale. Si è potuto, quindi, verificare che questo sospetto corrisponde alla realtà. La scoperta è stata fatta sulla base di un progetto sperimentale ideato da Andrea Moro, professore di linguistica generale presso la facoltà di Psicologia dell'Università San Raffaele di Milano, ed è stato eseguito sulla risonanza magnetica dell'Ospedale Universitario di Amburgo dalla dottoressa Mariacristina Musso.
Il metodo di verifica, assai raffinato, ma riassumibile in termini semplici, è consistito nell’insegnare (letteralmente) a dei soggetti tedeschi, privi di qualsiasi familiarità con l’italiano e con il giapponese, delle regole della grammatica. Tra le regole autentiche venivano ad arte inserite anche delle regole linguisticamente impossibili, ma assai semplici. Le frasi si susseguivano sullo schermo di un computer, mentre i soggetti giacevano “incassati” entro l’apparecchiatura di risonanza magnetica e giudicavano, via via, se la regola veniva rispettata o meno. Ad esempio, i soggetti imparavano, tra le regole possibili, che, a differenza del tedesco, per fare una frase in italiano non è necessario esprimere il soggetto come in "leggo molti bei libri"; invece, come regola impossibile imparavano che la negazione andava messa sempre esattamente dopo la terza parola. Per esempio, per negare la frase precedente dovevano dire: "leggo molti bei non libri". Tale regola è “impossibile” perché in nessuna lingua del mondo la negazione occupa un posto fisso nella sequenza delle parole. Procedure analoghe sono state applicate al giapponese, lingua ancora più dissimile dal tedesco di quanto non sia l’italiano.
Il risultato è stato che solo quando i soggetti apprendevano le regole possibili si attivava un'area del cervello tipica del linguaggio (la cosiddetta area di Broca, che ha un equivalente anche nei primati ma non è così evoluta come nell'uomo). Quando il cervello deve apprendere regole impossibili, invece, questa area sembra addirittura disattivarsi! Andrea Moro mi precisa: “Uno scopo centrale delle moderne ricerche in linguistica è quello di ben caratterizzare la classe delle lingue umane possibili, assai più di quello di descrivere le lingue esistenti. Dopo cinquant’anni di ricerche, questa scoperta conferma che non si tratta solo di un’utile classificazione di comodo. La classe delle lingue umanamente possibili corrisponde, infatti, ad un’elaborazione effettuata da aree specifiche del cervello. L’ipotesi che l’acquisizione del linguaggio nel bambino avviene sotto una guida biologicamente determinata viene così corroborata”. L’austera rivista scientifica ha intitolato l’articolo di Moro e collaboratori (traduco in italiano usando regole del tutto naturali): “L’area di Broca e l’istinto del linguaggio”. È facile prevedere che oggi spunterà un sorriso sul volto di Chomsky e su quello di Steven Pinker, autore del best seller internazionale intitolato, appunto, “L’istinto del linguaggio”.
Autore: Massimo Piattelli Palmarini
Fonte: Ospedale San Raffaele di Milano
Ente: Università San Raffaele di Milano
Phone: +3902 2643 2757 (area ricerca)
Ultima modifica di annalaura il Mar 30 Set 2008, 14:39 - modificato 1 volta.
Re: Apprendimento
Dormire sveglia l’intelligenza
di: Abrahm Abbot
Una serie di test su animali e uomini dal Massacchusetts Institute of Technology ha dimostrato che una buona notte di sonno è essenziale per i meccanismi dell'apprendimento. Ma non solo: a seconda dell’importanza dell’impegno che si ha, sarebbero coinvolte fasi differenti del sonno. "L'erosione del tempo dedicato al sonno, che è tipica della vita moderna, può mettere seriamente a rischio il nostro potenziale intellettivo", ha ammesso Robert Stickgold, del Massacchusetts Institute of Technology. " Molti pianisti trovano che dormir sopra una certa musica ne migliora l'esecuzione, il giorno dopo. E nello stesso modo la capacità dei soggetti di svolgere attività che richiedono destrezza e precisione migliora del 20 per cento se gli esercizi avvengono dopo aver dormito per una notte".
I ricercatori del team di Stickgold hanno anche scoperto che le diverse fasi del sonno hanno influenza su tipi diversi di apprendimento. Questo significa che ottenere buoni risultati in un test visivo, per esempio, richiede soprattutto un buon sonno nel primo quarto della notte (quello profondo, caratterizzato da un andamento lento delle onde cerebrali) e un sonno Rem (rapid eye movements, quello in cui si sogna) nell'ultimo quarto. Buoni risultati negli esercizi manuali di precisione dipendono invece da episodi non-Rem nell'ultima parte della notte (quando cioè non si sogna prima del risveglio).
"In sintesi, durante il sonno il nostro cervello si impegna in un processo di ripetizione, ristrutturazione e riclassificazione di quanto ha registrato, in modo da funzionare meglio il giorno seguente", dice Stickgold. Ed è quanto avviene anche negli animali: è stato provato, ad esempio, che gli uccelli giovani ripetono il canto che hanno appena imparato mentre dormono. I loro neuroni, attivi nei primi tentativi di canto, si “accendono” anche durante la notte, come se il cervello ripetesse i toni. "Gli uccellini, cioè, sognano di cantare". E i topi sognano di correre. "Dopo essersi mossi in un labirinto per tutto il giorno, durante la notte il loro cervello replica esattamente i segnali elettrici tipici del movimento, anche se il topo dorme", ha aggiunto al convegno di Boston Matthew Wilson, che ha collaborato agli esperimenti.
In collaborazione con la redazione GT
di: Abrahm Abbot
Una serie di test su animali e uomini dal Massacchusetts Institute of Technology ha dimostrato che una buona notte di sonno è essenziale per i meccanismi dell'apprendimento. Ma non solo: a seconda dell’importanza dell’impegno che si ha, sarebbero coinvolte fasi differenti del sonno. "L'erosione del tempo dedicato al sonno, che è tipica della vita moderna, può mettere seriamente a rischio il nostro potenziale intellettivo", ha ammesso Robert Stickgold, del Massacchusetts Institute of Technology. " Molti pianisti trovano che dormir sopra una certa musica ne migliora l'esecuzione, il giorno dopo. E nello stesso modo la capacità dei soggetti di svolgere attività che richiedono destrezza e precisione migliora del 20 per cento se gli esercizi avvengono dopo aver dormito per una notte".
I ricercatori del team di Stickgold hanno anche scoperto che le diverse fasi del sonno hanno influenza su tipi diversi di apprendimento. Questo significa che ottenere buoni risultati in un test visivo, per esempio, richiede soprattutto un buon sonno nel primo quarto della notte (quello profondo, caratterizzato da un andamento lento delle onde cerebrali) e un sonno Rem (rapid eye movements, quello in cui si sogna) nell'ultimo quarto. Buoni risultati negli esercizi manuali di precisione dipendono invece da episodi non-Rem nell'ultima parte della notte (quando cioè non si sogna prima del risveglio).
"In sintesi, durante il sonno il nostro cervello si impegna in un processo di ripetizione, ristrutturazione e riclassificazione di quanto ha registrato, in modo da funzionare meglio il giorno seguente", dice Stickgold. Ed è quanto avviene anche negli animali: è stato provato, ad esempio, che gli uccelli giovani ripetono il canto che hanno appena imparato mentre dormono. I loro neuroni, attivi nei primi tentativi di canto, si “accendono” anche durante la notte, come se il cervello ripetesse i toni. "Gli uccellini, cioè, sognano di cantare". E i topi sognano di correre. "Dopo essersi mossi in un labirinto per tutto il giorno, durante la notte il loro cervello replica esattamente i segnali elettrici tipici del movimento, anche se il topo dorme", ha aggiunto al convegno di Boston Matthew Wilson, che ha collaborato agli esperimenti.
In collaborazione con la redazione GT
Ultima modifica di annalaura il Mar 30 Set 2008, 14:40 - modificato 1 volta.
Re: Apprendimento
Lettura e neuroni
di: Enrico Loi
Spesso chi legge male manca delle connessioni cerebrali necessarie per avere buone capacità di lettura. Lo hanno scoperto alcuni ricercatori dell'Università di Yale guidati da Sally Shaywitz, che hanno pubblicato i risultati della loro ricerca sulla rivista Biological Psychiatry. Lo studio ha coinvolto 70 giovani adulti, di età compresa tra i 18 e i 22 anni, le cui capacità di lettura sono state misurate in varie fasi della scuola dell'obbligo. I volontari sono stati divisi in tre categorie: lettori scarsi alle scuole elementari, che però sono riusciti a migliorare le loro capacità. Lettori scarsi che non sono mai riusciti a fare dei passi in avanti e lettori che non hanno mai avuto problemi. I soggetti hanno poi subito una risonanza magnetica funzionale per immagini al cervello, in modo da registrare il flusso di sangue al cervello mentre erano impegnati a leggere.
Secondo l'UNDP, non ci sono però solo cattive notizie: in Cina ed India si stanno registrando delle forti crescite che consentiranno di raggiungere almeno due degli 'Obiettivi del millennio', quelli cioè relativi all'accesso all'acqua e quello del dimezzamento della povertà. Ma se il dato viene scomposto su base regionale, allora ci si accorge che ancora una volta l'Africa nera è destinata a restare al palo: "se resta invariato il ritmo di crescita attuale – si legge nel rapporto - l'Africa Subsahariana raggiungerebbe gli obiettivi sulla povertà non prima del 2147 e quelli relativi alla mortalità infantile non prima del 2165. Significa che siamo molto lontani dalla data del 2015 indicata in tutte le conferenze internazionali per il conseguimento di questi obiettivi". Insomma dovranno passare almeno altre sette generazioni di africani affamati prima di arrivare solo a dimezzare il numero dei poveri in quel continente.
Nella quasi 400 pagine di dati, commenti e tabelle del rapporto c'è anche una esplicita critica ai modelli di sviluppo attuali. Senza una opportuna adesione a nuovi sistemi di distribuzione della ricchezza e delle risorse sia a livello internazionale che all'interno dei singoli paesi (riforma agraria), i paesi a rischio di crescita e quelli dove la crescita non solo economica, ma, più in generale, quella sociale, è sostanzialmente ferma, rischiano di non poter trovare la strada per poter invertire il loro tragico destino di povertà ed emarginazione.
La responsabilità di questa situazione va ricondotta secondo il rapporto a tre fattori principali: il debito estero insostenibile che soffoca le economie locali; le politiche protezionistiche dei paesi occidentali che precludono l'accesso dei prodotti del Sud del Mondo nei mercati del Nord e, infine, la grande diffusione delle malattie trasmissibili, su tutte Aids e malaria che drenano una quantità di risorse sempre crescente a sistemi sanitari locali sempre sull'orlo del collasso.
Istituzione scientifica citata nell'articolo:
Yale University
di: Enrico Loi
Spesso chi legge male manca delle connessioni cerebrali necessarie per avere buone capacità di lettura. Lo hanno scoperto alcuni ricercatori dell'Università di Yale guidati da Sally Shaywitz, che hanno pubblicato i risultati della loro ricerca sulla rivista Biological Psychiatry. Lo studio ha coinvolto 70 giovani adulti, di età compresa tra i 18 e i 22 anni, le cui capacità di lettura sono state misurate in varie fasi della scuola dell'obbligo. I volontari sono stati divisi in tre categorie: lettori scarsi alle scuole elementari, che però sono riusciti a migliorare le loro capacità. Lettori scarsi che non sono mai riusciti a fare dei passi in avanti e lettori che non hanno mai avuto problemi. I soggetti hanno poi subito una risonanza magnetica funzionale per immagini al cervello, in modo da registrare il flusso di sangue al cervello mentre erano impegnati a leggere.
Secondo l'UNDP, non ci sono però solo cattive notizie: in Cina ed India si stanno registrando delle forti crescite che consentiranno di raggiungere almeno due degli 'Obiettivi del millennio', quelli cioè relativi all'accesso all'acqua e quello del dimezzamento della povertà. Ma se il dato viene scomposto su base regionale, allora ci si accorge che ancora una volta l'Africa nera è destinata a restare al palo: "se resta invariato il ritmo di crescita attuale – si legge nel rapporto - l'Africa Subsahariana raggiungerebbe gli obiettivi sulla povertà non prima del 2147 e quelli relativi alla mortalità infantile non prima del 2165. Significa che siamo molto lontani dalla data del 2015 indicata in tutte le conferenze internazionali per il conseguimento di questi obiettivi". Insomma dovranno passare almeno altre sette generazioni di africani affamati prima di arrivare solo a dimezzare il numero dei poveri in quel continente.
Nella quasi 400 pagine di dati, commenti e tabelle del rapporto c'è anche una esplicita critica ai modelli di sviluppo attuali. Senza una opportuna adesione a nuovi sistemi di distribuzione della ricchezza e delle risorse sia a livello internazionale che all'interno dei singoli paesi (riforma agraria), i paesi a rischio di crescita e quelli dove la crescita non solo economica, ma, più in generale, quella sociale, è sostanzialmente ferma, rischiano di non poter trovare la strada per poter invertire il loro tragico destino di povertà ed emarginazione.
La responsabilità di questa situazione va ricondotta secondo il rapporto a tre fattori principali: il debito estero insostenibile che soffoca le economie locali; le politiche protezionistiche dei paesi occidentali che precludono l'accesso dei prodotti del Sud del Mondo nei mercati del Nord e, infine, la grande diffusione delle malattie trasmissibili, su tutte Aids e malaria che drenano una quantità di risorse sempre crescente a sistemi sanitari locali sempre sull'orlo del collasso.
Istituzione scientifica citata nell'articolo:
Yale University
Re: Apprendimento
Il riposo rafforza la memoria
di: Anna Ermanni
Psicologi e biologi dell'università di Chicago, hanno scoperto che il sonno riveste molta importanza perché migliora significativamente le capacità mnemoniche. In particolare, permette di apprendere con maggior facilità le lingue straniere.
Secondo il panel scientifico, un adeguato riposo è associato al consolidamento dei ricordi, proteggendoli nel tempo da eventuali interferenze e dal deterioramento. Il sonno inoltre permette di recuperare o ripristinare i ricordi. Nel caso degli studenti, i ricercatori hanno osservato che il sonno incute loro una maggiore abilità nel ricordare parole di una lingua straniera, nonostante che si fossero scordati ciò che avevano assimilato in giorno precedente.
Gli scienziati avevano da tempo ipotizzato che il sonno migliorasse l'apprendimento delle lingue straniere. I risultati del nuovo studio scientifico confermano definitivamente questo miglioramento dell'attività cerebrale. Lo studio, che è stato divulgato dal periodico "Nature", potrebbe essere non solo associata all'apprendimento verbale ma anche ad altri tipi di apprendimento.
Istituzione scientifica citata nell'articolo:
University of Chicago
di: Anna Ermanni
Psicologi e biologi dell'università di Chicago, hanno scoperto che il sonno riveste molta importanza perché migliora significativamente le capacità mnemoniche. In particolare, permette di apprendere con maggior facilità le lingue straniere.
Secondo il panel scientifico, un adeguato riposo è associato al consolidamento dei ricordi, proteggendoli nel tempo da eventuali interferenze e dal deterioramento. Il sonno inoltre permette di recuperare o ripristinare i ricordi. Nel caso degli studenti, i ricercatori hanno osservato che il sonno incute loro una maggiore abilità nel ricordare parole di una lingua straniera, nonostante che si fossero scordati ciò che avevano assimilato in giorno precedente.
Gli scienziati avevano da tempo ipotizzato che il sonno migliorasse l'apprendimento delle lingue straniere. I risultati del nuovo studio scientifico confermano definitivamente questo miglioramento dell'attività cerebrale. Lo studio, che è stato divulgato dal periodico "Nature", potrebbe essere non solo associata all'apprendimento verbale ma anche ad altri tipi di apprendimento.
Istituzione scientifica citata nell'articolo:
University of Chicago
Re: Apprendimento
“Imparare”… a muoversi
di: Plinio Endroit
Non si nasce abili nei movimenti… lo si diventa. Ci vuole una certa dose d'esperienza anche solo per tenere in equilibrio un vassoio colmo di cioccolatini, davanti ad alcuni ospiti invitati, ad esempio, alla nostra festa di Capodanno! Immaginate che un bambino dell’asilo e un adulto (non ubriaco!) portino dalla cucina alla sala quel vassoio traboccante di dolciumi.
Chi dei due sarà più goffo nei movimenti, insicuro, concentrato? Il bambino. Per lui quest'attività sarà molto più difficile che l'adulto (sempre che quest'ultimo non sia ubriaco). A muoversi, infatti, il cervello impara. A capire le distanze, a intuire il peso di un vassoio vuoto rispetto ad uno pieno, a capire la differenza tra un vassoio pieno di sostanze solide o colmo di un liquido; a intuire il passo migliore da imprimere alla camminata a seconda della situazione e del trasporto.
In che modo il cervello sfrutta il vissuto per migliorare il controllo motorio? Di questo quesito si sta occupando il John Hopkins Medical Institution. I risultati dello studio sono stati pubblicati lo scorso novembre dalla rivista PLoS Biology.
Istituzione scientifica citata nell'articolo:
Johns Hopkins Medicine
di: Plinio Endroit
Non si nasce abili nei movimenti… lo si diventa. Ci vuole una certa dose d'esperienza anche solo per tenere in equilibrio un vassoio colmo di cioccolatini, davanti ad alcuni ospiti invitati, ad esempio, alla nostra festa di Capodanno! Immaginate che un bambino dell’asilo e un adulto (non ubriaco!) portino dalla cucina alla sala quel vassoio traboccante di dolciumi.
Chi dei due sarà più goffo nei movimenti, insicuro, concentrato? Il bambino. Per lui quest'attività sarà molto più difficile che l'adulto (sempre che quest'ultimo non sia ubriaco). A muoversi, infatti, il cervello impara. A capire le distanze, a intuire il peso di un vassoio vuoto rispetto ad uno pieno, a capire la differenza tra un vassoio pieno di sostanze solide o colmo di un liquido; a intuire il passo migliore da imprimere alla camminata a seconda della situazione e del trasporto.
In che modo il cervello sfrutta il vissuto per migliorare il controllo motorio? Di questo quesito si sta occupando il John Hopkins Medical Institution. I risultati dello studio sono stati pubblicati lo scorso novembre dalla rivista PLoS Biology.
Istituzione scientifica citata nell'articolo:
Johns Hopkins Medicine
Re: Apprendimento
Come si inibisce la memoria
di: Donata Allegri
Uno studio, pubblicato su “Science”, condotto da ricercatori della Stanford University e dell'Università dell'Oregon, guidati da John D. E. Gabrieli e Michael Anderson, dimostra che nel cervello umano esiste un meccanismo biologico che entra in azione per inibire la memoria. Già Freud agli inizi del Novecento aveva rivelato che l'essere umano è capace di bloccare la memorizzazione di eventi dolorosi.
Oggi Anderson e colleghi hanno fatto passi avanti utilizzando la tecnologia della risonanza magnetica funzionale su un campione di 24 volontari, di età compresa tra i 19 e 31 anni. Ai soggetti veniva chiesto di memorizzare 36 coppie di parole come “vapore-treno”, “gomma-mascella” e così via, a intervalli di cinque secondi l'una dall'altra. In seguito per alcune coppie di parole si invitava, data la prima parola, a ricordare la seconda. Per altre coppie, al contrario, si richiedeva di dimenticare o non pensare alla seconda parola.
Le immagini ottenute con la risonanza magnetica mostravano che, durante la fase di repressione del ricordo, nel cervello erano attive quelle stesse aree che si attivano quando si tenta di bloccare un'azione fisica in atto, come un movimento del braccio. L'attivazione di queste aree blocca a sua volta l'attivazione nella regione cerebrale dell'ippocampo, quella che sappiamo essere coinvolta nei processi di memoria. Il risultato, è stato che essi ricordavano molto meglio le parole su cui erano stati invitati a esercitare la memoria, pronunciandole ad alta voce, e ricordavano molto meno quelle su cui erano stati invitati a esercitare la capacità di inibizione del ricordo.
Anche lo psicologo sperimentale Martin Conway, dell'Università di Bristol, è d'accordo ed afferma che i due ricercatori hanno mostrato in maniera non ambigua che “se una memoria associata a qualcosa di familiare (per esempio una parola) è attivamente inibita ogni volta che quell'oggetto familiare viene visto, allora la memoria si reprime e la notizia ripetutamente inibita risulta più difficile da ricordare”.
Anderson e Green hanno dimostrato che l'inibizione avviene anche con un atto di volontà. Con questa dimostrazione si può spiegare per esempio perché i bambini che subiscono violenze e abusi spesso non ricordano la tremenda esperienza. Un secondo aspetto che valorizza ulteriormente i risultati di Anderson e Green, è che si tratta della prima dimostrazione verificabile di uno dei capisaldi della psicanalisi: la rimozione e questo può significare che la psicoanalisi cessa di essere pseudoscienza e inizia a diventare una teoria scientifica, verificabile in Laboratorio.
Istituzioni scientifiche citate nell'articolo:
University of Oregon
Stanford University
Bristol University
Donata Allegri
E-mail: donata.allegri@ecplanet.com
Sito personale: Crocevia
di: Donata Allegri
Uno studio, pubblicato su “Science”, condotto da ricercatori della Stanford University e dell'Università dell'Oregon, guidati da John D. E. Gabrieli e Michael Anderson, dimostra che nel cervello umano esiste un meccanismo biologico che entra in azione per inibire la memoria. Già Freud agli inizi del Novecento aveva rivelato che l'essere umano è capace di bloccare la memorizzazione di eventi dolorosi.
Oggi Anderson e colleghi hanno fatto passi avanti utilizzando la tecnologia della risonanza magnetica funzionale su un campione di 24 volontari, di età compresa tra i 19 e 31 anni. Ai soggetti veniva chiesto di memorizzare 36 coppie di parole come “vapore-treno”, “gomma-mascella” e così via, a intervalli di cinque secondi l'una dall'altra. In seguito per alcune coppie di parole si invitava, data la prima parola, a ricordare la seconda. Per altre coppie, al contrario, si richiedeva di dimenticare o non pensare alla seconda parola.
Le immagini ottenute con la risonanza magnetica mostravano che, durante la fase di repressione del ricordo, nel cervello erano attive quelle stesse aree che si attivano quando si tenta di bloccare un'azione fisica in atto, come un movimento del braccio. L'attivazione di queste aree blocca a sua volta l'attivazione nella regione cerebrale dell'ippocampo, quella che sappiamo essere coinvolta nei processi di memoria. Il risultato, è stato che essi ricordavano molto meglio le parole su cui erano stati invitati a esercitare la memoria, pronunciandole ad alta voce, e ricordavano molto meno quelle su cui erano stati invitati a esercitare la capacità di inibizione del ricordo.
Anche lo psicologo sperimentale Martin Conway, dell'Università di Bristol, è d'accordo ed afferma che i due ricercatori hanno mostrato in maniera non ambigua che “se una memoria associata a qualcosa di familiare (per esempio una parola) è attivamente inibita ogni volta che quell'oggetto familiare viene visto, allora la memoria si reprime e la notizia ripetutamente inibita risulta più difficile da ricordare”.
Anderson e Green hanno dimostrato che l'inibizione avviene anche con un atto di volontà. Con questa dimostrazione si può spiegare per esempio perché i bambini che subiscono violenze e abusi spesso non ricordano la tremenda esperienza. Un secondo aspetto che valorizza ulteriormente i risultati di Anderson e Green, è che si tratta della prima dimostrazione verificabile di uno dei capisaldi della psicanalisi: la rimozione e questo può significare che la psicoanalisi cessa di essere pseudoscienza e inizia a diventare una teoria scientifica, verificabile in Laboratorio.
Istituzioni scientifiche citate nell'articolo:
University of Oregon
Stanford University
Bristol University
Donata Allegri
E-mail: donata.allegri@ecplanet.com
Sito personale: Crocevia
Re: Apprendimento
Le condotte antisociali
di: Johann Rossi Mason
Possono essere predette dall'infanzia.
Esiste un nesso di continuità tra l'infanzia e l'età adulta, almeno per ciò che riguarda le cosiddette “condotte antisociali”. Non che ad una infanzia e adolescenza turbolente non possa seguire una età adulta equilibrata, tutt'altro. Ciononostante secondo un recente studio apparso sull'ultimo numero del British Medical Journal, curato dal Dipartimento di Psichiatria dell'Infanzia e Adolescenza della Guy's King's and St. Thomas Medical School di Londra, il comportamento antisociale degli adulti affonda le proprie radici nei primi anni della vita.
La ricerca ha preso in esame un gruppo di gemelli selezionati durante l'infanzia e seguiti per i 10-25 anni successivi. I soggetti, per un totale di 225, sono stati intervistati relativamente a disturbi psichiatrici, funzionamento psicosociale e fattori di rischio sia psicologici che cognitivi. I risultati hanno mostrato che iperattività da bambini e disordini nella condotta nei primi anni di vita costituiscono un fattore predittivo di comportamenti antisociali e criminali in età adulta. Inoltre un basso quoziente intellettivo e difficoltà di lettura sono i problemi maggiormente riscontrati come situazioni a rischio. Identificare precocemente comportamenti distruttivi – suggeriscono gli autori – e valutare adeguatamente la presenza di altri sintomi può permettere interventi preventivi mirati.
Un aspetto da tenere in adeguata considerazione se è vero, come sostengono i ricercatori inglesi, che i disordini della condotta sono il disturbo psichiatrico più diffuso tra i bambini e che di questi circa un terzo sviluppa tratti di personalità antisociale da adulto. Predittori tipici includono elevati livelli di aggressività, iperattività, solitudine e mancanza di amicizie. Altri fattori sono stati identificati nella delinquenza di gruppo tra coetanei e situazioni in cui i bambini siano precocemente proiettati nella vita adulta. Nonostante tutti questi elementi rappresentino un ponte verso un’età adulta problematica non è noto in che modo essi continuino ad esercitare i loro effetti nella media e tarda età adulta.
Istituzione scientifica citata nell'articolo:
Guy's King's and St. Thomas Medical School
Johann Rossi Mason
E-mail: jobres@ecplanet.com
Sito personale: Comuni-CARE
di: Johann Rossi Mason
Possono essere predette dall'infanzia.
Esiste un nesso di continuità tra l'infanzia e l'età adulta, almeno per ciò che riguarda le cosiddette “condotte antisociali”. Non che ad una infanzia e adolescenza turbolente non possa seguire una età adulta equilibrata, tutt'altro. Ciononostante secondo un recente studio apparso sull'ultimo numero del British Medical Journal, curato dal Dipartimento di Psichiatria dell'Infanzia e Adolescenza della Guy's King's and St. Thomas Medical School di Londra, il comportamento antisociale degli adulti affonda le proprie radici nei primi anni della vita.
La ricerca ha preso in esame un gruppo di gemelli selezionati durante l'infanzia e seguiti per i 10-25 anni successivi. I soggetti, per un totale di 225, sono stati intervistati relativamente a disturbi psichiatrici, funzionamento psicosociale e fattori di rischio sia psicologici che cognitivi. I risultati hanno mostrato che iperattività da bambini e disordini nella condotta nei primi anni di vita costituiscono un fattore predittivo di comportamenti antisociali e criminali in età adulta. Inoltre un basso quoziente intellettivo e difficoltà di lettura sono i problemi maggiormente riscontrati come situazioni a rischio. Identificare precocemente comportamenti distruttivi – suggeriscono gli autori – e valutare adeguatamente la presenza di altri sintomi può permettere interventi preventivi mirati.
Un aspetto da tenere in adeguata considerazione se è vero, come sostengono i ricercatori inglesi, che i disordini della condotta sono il disturbo psichiatrico più diffuso tra i bambini e che di questi circa un terzo sviluppa tratti di personalità antisociale da adulto. Predittori tipici includono elevati livelli di aggressività, iperattività, solitudine e mancanza di amicizie. Altri fattori sono stati identificati nella delinquenza di gruppo tra coetanei e situazioni in cui i bambini siano precocemente proiettati nella vita adulta. Nonostante tutti questi elementi rappresentino un ponte verso un’età adulta problematica non è noto in che modo essi continuino ad esercitare i loro effetti nella media e tarda età adulta.
Istituzione scientifica citata nell'articolo:
Guy's King's and St. Thomas Medical School
Johann Rossi Mason
E-mail: jobres@ecplanet.com
Sito personale: Comuni-CARE
Re: Apprendimento
Ippocampo e apprendimento
di: Edoardo Capuano
Il sonno conferisce un eloquente consolidamento dei ricordi recenti. Questo è quanto sostengono, in un articolo pubblicato dal periodico “Neuron”, alcuni ricercatori dell'Università di Liège che, grazie ad una accurata ricerca, hanno potuto accertare che non c'è niente di meglio di una bel sonno ristoratore per potersi ricordare il giorno dopo quello che si è studiato il giorno prima.
Per consolidare la ricerca, il team scientifico ha preso in considerazione l'attività cerebrale di alcuni volontari che dopo aver appreso ad orientarsi in una “città virtuale” erano invitati a dormire. Il giorno successivo i soggetti dimostravano di avere ancora più dimestichezza nell'orientarsi attraverso la “città virtuale” creata dal computer.
Un dato eloquente che dimostra come una bella dormita dopo un'attività mnemonica possa consolidare le memorie spaziali. I ricercatori hanno anche suggerito che nei soggetti il livello di attività del centro di apprendimento del cervello (ippocampo) è direttamente relazionato al miglioramento delle prestazioni mnemoniche. Il sonno svolge una funzione peculiare nel consolidamento dei ricordi recenti; secondo i ricercatori, quando si è svegli l'informazione tende ad essere alterata, mentre durante il sonno, con tutta probabilità, si attiva un determinato meccanismo cerebrale che ristruttura e rafforza le informazioni acquisite.
Tuttavia, i risultati dello studio non possono fornire una valutazione conclusiva in quanto in questo processo di consolidamento dei ricordi si attivano altri processi cerebrali molto complessi. Nei monitoraggi, ad esempio, si è accertata l'attività dell'ippocampo nel rivisitare i ricordi spaziali, ma solo nella fase del profondo sonno a onde lente (SWS) della fase non-REM.
Istituzione scientifica citata nell'articolo:
Université de Liège
di: Edoardo Capuano
Il sonno conferisce un eloquente consolidamento dei ricordi recenti. Questo è quanto sostengono, in un articolo pubblicato dal periodico “Neuron”, alcuni ricercatori dell'Università di Liège che, grazie ad una accurata ricerca, hanno potuto accertare che non c'è niente di meglio di una bel sonno ristoratore per potersi ricordare il giorno dopo quello che si è studiato il giorno prima.
Per consolidare la ricerca, il team scientifico ha preso in considerazione l'attività cerebrale di alcuni volontari che dopo aver appreso ad orientarsi in una “città virtuale” erano invitati a dormire. Il giorno successivo i soggetti dimostravano di avere ancora più dimestichezza nell'orientarsi attraverso la “città virtuale” creata dal computer.
Un dato eloquente che dimostra come una bella dormita dopo un'attività mnemonica possa consolidare le memorie spaziali. I ricercatori hanno anche suggerito che nei soggetti il livello di attività del centro di apprendimento del cervello (ippocampo) è direttamente relazionato al miglioramento delle prestazioni mnemoniche. Il sonno svolge una funzione peculiare nel consolidamento dei ricordi recenti; secondo i ricercatori, quando si è svegli l'informazione tende ad essere alterata, mentre durante il sonno, con tutta probabilità, si attiva un determinato meccanismo cerebrale che ristruttura e rafforza le informazioni acquisite.
Tuttavia, i risultati dello studio non possono fornire una valutazione conclusiva in quanto in questo processo di consolidamento dei ricordi si attivano altri processi cerebrali molto complessi. Nei monitoraggi, ad esempio, si è accertata l'attività dell'ippocampo nel rivisitare i ricordi spaziali, ma solo nella fase del profondo sonno a onde lente (SWS) della fase non-REM.
Istituzione scientifica citata nell'articolo:
Université de Liège
Re: Apprendimento
Il Segreto di una Memoria...prodigiosa
redazione ECplanet
Tecniche di memorizzazione rapida
Il segreto di una memoria prodigiosa è nato per essere un libro unico con l'obiettivo di essere un manuale completo, semplice e pratico per portarti direttamente al risultato !
Argomenti trattati:
- Le basi
- Tecniche di rilassamento e concentrazione
- Tecniche di fotografia mentale
- Le tecniche di memoria
- Lo schedario mentale: come immagazzinare sequenze di informazioni
- Come imparare una lingua in 25 giorni
- Come memorizzare informazioni di tipo tecnico per esempio formule chimiche, formule matematiche, articoli di codice, date storiche, numeri di qualsiasi genere, come trattenere le informazioni a lungo termine.
Le metodologie di studio:
-Come studiare in modo efficace: da quando apri un libro al completo trasferimento del suo contenuto dentro di te;
-Sapere non basta, è come vengono esposti i concetti acquisiti che fa la differenza: cenni di comunicazione efficace nell'esposizione.
Contiene tutti gli esercizi per interiorizzare il metodo: L'esercizio è alla base di ogni risultato eccellente. Direttamente sul manuale sono presenti tutti gli esercizi necessari per ottenere subito i risultati e i riferimenti che desideri e ogni esercizio è corredato dello spazio per svolgerlo direttamente sul libro. Non avrai bisogno di altro: sarà tutto sul tuo manuale!
È intuitivo: Ogni capitolo inizia con schemi e mappe che ne racchiudono e sintetizzano il contenuto in modo da poterti orientare con facilità all’interno del manuale.
Se vuoi acquistare il libro:
Il Segreto di una Memoria Prodigiosa
Autore: Matteo Salvo
redazione ECplanet
Tecniche di memorizzazione rapida
Il segreto di una memoria prodigiosa è nato per essere un libro unico con l'obiettivo di essere un manuale completo, semplice e pratico per portarti direttamente al risultato !
Argomenti trattati:
- Le basi
- Tecniche di rilassamento e concentrazione
- Tecniche di fotografia mentale
- Le tecniche di memoria
- Lo schedario mentale: come immagazzinare sequenze di informazioni
- Come imparare una lingua in 25 giorni
- Come memorizzare informazioni di tipo tecnico per esempio formule chimiche, formule matematiche, articoli di codice, date storiche, numeri di qualsiasi genere, come trattenere le informazioni a lungo termine.
Le metodologie di studio:
-Come studiare in modo efficace: da quando apri un libro al completo trasferimento del suo contenuto dentro di te;
-Sapere non basta, è come vengono esposti i concetti acquisiti che fa la differenza: cenni di comunicazione efficace nell'esposizione.
Contiene tutti gli esercizi per interiorizzare il metodo: L'esercizio è alla base di ogni risultato eccellente. Direttamente sul manuale sono presenti tutti gli esercizi necessari per ottenere subito i risultati e i riferimenti che desideri e ogni esercizio è corredato dello spazio per svolgerlo direttamente sul libro. Non avrai bisogno di altro: sarà tutto sul tuo manuale!
È intuitivo: Ogni capitolo inizia con schemi e mappe che ne racchiudono e sintetizzano il contenuto in modo da poterti orientare con facilità all’interno del manuale.
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