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Stralci di psicologia: I SENTIMENTI

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Messaggio  annalaura Mar 30 Set 2008, 11:54

La tristezza, una risorsa
di: Johann Rossi Mason

Può capitare di sentirsi tristi, talvolta!

La tristezza è una emozione normale che può anche arricchire la vita. Molti artisti e poeti sono stati ispirati dalla tristezza e dalla malinconia. Inoltre si tratta di un sentimento normale e fisiologico nel processo di perdita. Quando diciamo addio a qualcuno che amiamo generalmente ci sentiamo tristi, il nostro tono dell'umore vira verso la depressione e il sentimento è tanto più profondo se la perdita della persona amata è legata ad un evento luttuoso.

La tristezza però ci aiuta ad apprezzare la felicità, le variazioni dell'umore, se motivate dagli eventi, sono sintomo proprio di una buona salute psichica. Sono state identificate alcune situazioni in cui la tristezza percepita è addirittura una risorsa importante per arricchire la propria vita emotiva e che gli esperti del sito americano www.about.com hanno illustrato:

permetti a te stesso di essere triste: rigettare i sentimenti e le emozioni meno gradite quando si presentano, a lungo termine può danneggiare;

rifletti riguardo ai contesti in cui ti senti triste. Sono legati a perdite o a eventi infelici? Oppure insorgono senza un motivo apparente? Generalmente non è così semplice comprendere chiaramente la causa della tristezza, ma può essere possibile analizzare i fattori che più spesso ne sono coinvolti;

la tristezza può essere il risultato di un cambiamento che non ci si attendeva, o può essere il segnale del bisogno di un cambiamento nella propria vita. I cambiamenti sono quasi sempre stressanti, ma necessari per crescere;

Tenta di capire quando la tristezza rischia di trasformarsi in depressione. Non sono affatto la stessa cosa, nonostante spesso vengano usate come sinonimi. Chiedi aiuto se la tristezza diventa troppo intensa, troppo duratura o se sfocia nella disperazione.

È importante chiedere aiuto se si fa esperienza di più di due di questi persistenti sintomi di depressione (che devo presentarsi continuativamente per almeno sei settimane):
Tristezza persistente, ansia, senso di vuoto;
Pessimismo, mancanza di speranza;
Sentimenti di colpevolezza, percezione di non poter ricevere aiuto;
Perdita di interesse e piacere nelle attività preferite, incluso il sesso;
Perdita di energie, fatica, senso di "rallentamento";
Difficoltà di concentrazione, di memoria, di prendere decisioni;
Insonnia, risvegli precoci, oppure sonnolenza eccessiva;
Perdita di peso o aumento di peso;
Pensieri di morte e suicidio;
Irritabilità; sintomi fisici come mal di testa e difficoltà di digestione.

Johann Rossi Mason
E-mail: jobres@ecplanet.com
Sito personale: Comuni-CARE
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Messaggio  annalaura Mar 30 Set 2008, 11:56

Freddo dalla solitudine
r.s. a cura della redazione ECplanet

Che anima e corpo fossero intimamente vincolati non è una novità neanche per la medicina, ma un recente studio dell'Università di Toronto ha scoperto che lo sono più di quanto potessimo immaginare.

Pare infatti che la sensazione di eccessivo freddo possa essere collegata alla sensazione di solitudine in chi ha recentemente troncato una relazione sentimentale o modificato - volente o nolente - le proprie abitudini di vita in modo da ritrovarsi spesso da solo. Il freddo che si avverte nell'anima, dunque, diventerebbe somatico.

Questo spiega anche la diversa percezione della temperatura anche quando essa non sia normalmente percepita come fredda da altre persone, com'è stato dimostrato dai test condotti su volontari suddivisi in due gruppi: uno di questi era formato da persone che avevano subito episodi di esclusione sociale.

Data articolo: settembre 2008
Fonte: www.benessereblog.it
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Messaggio  annalaura Mar 30 Set 2008, 12:01

La Via dell'Umorismo
redazione ECplanet

Gli antichi conoscevano la natura fugace della vita e consigliavano ai loro allievi di non prenderla troppo sul serio. L'esistenza cambia troppo velocemente per indugiare su uno qualsiasi dei suoi singoli aspetti.

Le cose possono seguire un certo corso per qualche tempo, per poi mutare repentinamente e senza preavviso. Per questo il saggio sa che non guadagna nulla ritenendo l'esistenza qualcosa di statico. È più proficuo accogliere la fuggevolezza della vita.

Così facendo comprenderemo che la coscienza della volubile natura dell'esistenza è la via più rapida per giungere alla gioia, come la felicità del bambino mentre gioca. Forse è proprio vero che soltanto grazie al sorriso approdiamo alla conoscenza.
Un invito a un'innocente gioia di vivere…


Libro , Pagg. 144
La Via dell'Umorismo
Autore: Gianluca Magi


Ultima modifica di annalaura il Mar 30 Set 2008, 12:16 - modificato 1 volta.
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Messaggio  annalaura Mar 30 Set 2008, 12:13

Io Scelgo Io Voglio Io Sono
redazione ECplanet

Le proprie credenze inconsapevoli condizionano le proprie emozioni, i propri pensieri, ma soprattutto le esperienze che ognuno vive individualmente. Chi sa essere autonomamente felice produce lui stesso, con la co-partecipazione della Realtà, le esperienze felici che vive e chi è incapace di esserlo produce lui stesso le esperienze infelici che vive.

Ma credere e pensare felicemente può essere molto difficile; come chiedere a un treno di seguire percorsi diversi da quelli verso i quali i suoi binari lo portano. Servono nuovi binari, serve costruirli nella propria mente.

È un'opera coraggiosa che affronta in modo definitivo la relazione creatrice tra l'uomo, la sua mente e la Realtà e propone un metodo, chiamato dall'autore Exotropic Mind (Mente Exotropica), che consente a chiunque di intervenire direttamente sulle proprie credenze inconsapevoli e di trasformare la sua mente in un formidabile generatore quantistico di coincidenze favorevoli divenendo, in modo totalmente autonomo, padrone, potente e consapevole, sia della propria vita immaginativa sia del proprio futuro.

Il testo è stato scritto evitando l'utilizzo dell'avverbio di negazione non, poiché, come illustrato dall'autore, la mente inconsapevole è incapace di riconoscerne il significato.


Libro , Pagg. 356
Formato: 17x17
Io Scelgo Io Voglio Io Sono
Autore: Fabio Marchesi
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Messaggio  annalaura Mar 30 Set 2008, 12:35

Gli odori ci cambiano
di: Paola Coppola

Una serie di ricerche descrivono gli effetti “psicologici” di ciascun profumo naturale Su “Mente&Cervello” il resoconto di questi studi sulle loro qualità segrete.

Fonti di piacere, evocano sensazioni, passato. Scie da seguire fino a un portone, e diventano tracce di futuro. In agguato, dietro un angolo, sanno sorprendere e disgustare. E, al chiuso, accendere in un attimo l'istinto di fuga. Amici e nemici potenti gli odori, modulano il nostro umore e riescono persino a influenzare alcuni comportamenti.
C'è la Vaniglia, il profumo dell´altruismo.
La Rosa della lucidità.
La Menta del vigore fisico.
Il Limone della concentrazione.

Gli odori, anche quelli che conosciamo dall´infanzia, hanno qualità nascoste, indagate dai più recenti studi di psicologia. Che l'industria dei profumi valorizza e il marketing olfattivo usa per i suoi scopi. “Mille effetti” che sono raccontati da Nicolas Guéguen, ricercatore di Scienze dell'informazione e della cognizione all'Université de Bretagne-Sud, in un articolo pubblicato su Mente&Cervello in edicola.

Se vaniglia o lavanda sono nell´aria si diventa più generosi. Ben disposti verso gli altri, pronti a dar retta a chi ci ferma per strada per cambiare una banconota o a dedicare tempo a un´attività di volontariato, chiariscono due studi americani del gruppo dello psicologo Robert Baron del Rensselaer Polytechnic Institute a Troy (Stato di New York) e di Mary Beth Grimes, della Georgia Southern University.

Odore di rosa e i conti vengono meglio. Dopo averlo annusato alcuni volontari hanno risolto a mente, in un tempo minore, problemi di calcolo e hanno registrato un livello minore di ansia. Il profumo aumentava la concentrazione, secondo i ricercatori dell'Università di Miami che hanno condotto il test.

Che il limone possa migliorare le prestazioni al volante è convinto lo psicologo Robert Baron: precisione nei parcheggi e agilità nel traffico per i volontari che ne respiravano l'odore durante una simulazione di guida rispetto a quelli a cui toccava fare le stesse manovre in un abitacolo neutro.

Nella sala d'attesa del dentista potrebbe essere utile il profumo dell'arancio, perché può contenere l'ansia dei pazienti e la sensibilità al dolore durante la seduta. Come? Lo psicologo dell'Università di Vienna, Johann Lehrner, ha mostrato che il merito dell'arancio è di coprire l'odore di eugenolo, un anestetico comune che basta per risvegliare la paura del medico e amplificare il dolore che proveranno sotto i ferri.

Anche gli sportivi hanno un odore che li aiuta. La menta ne può aumentare forza muscolare e spinta nelle gambe e stimolare le prestazioni atletiche. Gli effetti su un gruppo di giovani che praticava sport regolarmente sono stati verificati nella corsa dei 400 metri e misurati nella potenza delle mani da Bryan Raudenbush e colleghi della Wheeling Jesuit University (Usa).

L'odore di latte e quello di lavanda sono un sollievo per i neonati di appena cinque giorni sottoposti a manovre pediatriche che comportano fastidi. Ricercatori giapponesi hanno registrato livelli più bassi di cortisolo e meno stress su chi li aveva respirati.

E se l'industria dei profumi punta a ricreare sull´odore che dona felicità (come nel caso di Smiley), nel marketing olfattivo l'odore è funzione dell´obiettivo che si deve raggiungere. Quello dei fiori produce gli stessi effetti su uomini e donne: li ha trattenuti più tempo all'interno di una gioielleria in un test dei ricercatori del Monell Chemical Senses Center di Philadelphia. Non ha condizionato i loro acquisti, è vero, ma il risultato può diventare un'opportunità per i commercianti, se usano quel tempo per stabilire un contatto con i clienti. Il richiamo sensoriale dell'odore di cioccolata e di pollo arrosto è stato indagato in un minimarket di Vannes (Bretagna) dal gruppo di Guéguen che ha orientato i consumatori verso il reparto salumeria e quello dolciario. Ma attenzione, avverte il ricercatore francese, a scatenare una guerra degli odori all´interno dei centri commerciali. Questi avranno anche delle qualità segrete, ma l'effetto saturazione può essere ben più potente.

Data articolo: aprile 2008
Fonte: www.repubblica.it
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Messaggio  annalaura Mar 30 Set 2008, 12:46

Timidezza e infezioni
di: Anna Ermanni

Secondo una ricerca, svolta da ricercatori dell'istituto di ricerca sull'AIDS dell'Università della California di Los Angeles (UCLA), affrontare lo stress con timidezza può innescare un meccanismo deleterio nei confronti del sistema immunitario. In una tale circostanza, la timidezza giocherebbe un ruolo importante rendendo il sistema immunitario debole e quindi suscettibili al sopravvento dei virus, anche quelli particolarmente deleteri come l'HIV.

I ricercatori sostengono pure di avere individuato il meccanismo immunitario che provoca una maggiore suscettibilità alle infezione nelle persone timide rispetto alle persone dinamiche. Secondo il dottor Steve Cole, ricercatore e docente di ematologia-oncologia alla David Geffen School of Medicine presso l'Università della California di Los Angeles (UCLA), fin dall'antichità i medici erano consapevoli che le persone tendenzialmente introverse sono più esposte alle patologie rispetto a quelle estroverse.

Recenti ricerche improntate sull'AIDS, hanno appurato che le persone timide si ammalano e periscono prima di quelle normali. I risultati di questo nuovo studio spiegano il meccanismo biologico che interagisce fra la personalità di un individuo e la patologia. I risultati della ricerca sono stati divulgati dal periodico “Biological Psychiatry”.


Istituzioni scientifiche citate nell'articolo:
UCLA University of California
David Geffen School of Medicine at UCLA
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Messaggio  annalaura Mar 30 Set 2008, 12:48

La felicità contro il raffreddore
di: Massimo Bertolucci

Il ricercatore Sheldon Cohen e colleghi della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, hanno reso noti i risultati di uno studio che conferma come la felicità possa aiutare la salute. I ricercatori hanno preso in esame 334 persone in salute che, nell'arco di due settimane, venivano regolarmente intervistate tre sere alla settimana per descrivere i loro sentimenti giornalieri rapportati a tre situazioni emotive positive - la salute, la vitalità e la calma – e tre negative – l'ostilità, la depressione e l'ansia -. Inoltre, a tutti i partecipante veniva inalato un rhinovirus, il germe responsabile del raffreddore.

I partecipanti venivano osservati per cinque giorni onde identificare un'eventuale infezione da rhinovirus e per verificare le sue modalità. Il risultato finale ha attestato che tutte le persone felici, energiche e rilassate avevano meno possibilità di essere contagiate dal rhinovirus rispetto ai soggetti tendenzialmente depressi, nervosi o irosi. Lo studio è stato pubblicato dal periodico "Psychosomatic Medicine".


Istituzione scientifica citata nell'articolo:
Carnegie Mellon University
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Messaggio  annalaura Mar 30 Set 2008, 12:57

I meccanismi della risata
di: Sara Bellini

"Ah, ha, ah, hi, hi, hi, "

Si fa un profondo respiro. Si getta la testa all'indietro. I muscoli del volto, del collo, del diaframma, dell'addome si tendono e dalla bocca esce un suono regolare, esplosivo a irrefrenabile. Quando il fiato è esaurito, si inspira altra aria a le variazioni sillabiche riprendono. Se sono vigorose e intense, i muscoli di mandibole e addome cominciano a dolere e gli occhi a lacrimare.


Ma perché ridiamo?

In genere, ridiamo se siamo predisposti, di buonumore, allegri o se qualcuno ci racconta un aneddoto o una barzelletta divertente. La risata fa parte di un linguaggio universale riconosciuto da tutte le culture. E ce n'è di ogni tipo: liberatoria, sincera, falsa, impostata, autoritaria.

"La risata è una sorta di linguaggio sociale. Un modo per mettersi in relazione con gli altri, per stabilire un legame, esprimere apprezzamento, ma anche per umiliare o esercitare ostracismo su chi è vittima della nostra risata. I despoti, infatti, ne temevano il potere" risponde Robert Provine, neuroscienziato americano autore del saggio "Laughter".

"La risata è un modo per esprimere solidarietà a senso di appartenenza al gruppo, un po' come un branco di lupi ululanti" commenta la psicologa americana Jo-Ann Bachorowski.


Ridiamo come le scimmie

La risata è una caratteristica innata che l'uomo condivide solo con i suoi cugini primati, gli scimpanzé, i gorilla e le altre scimmie.

Cosa questa già nota a Charles Darwin e confermata dall'etologo olandese Jan Van Hoff: "Sia negli uomini sia nei primati la risata è legata a un atteggiamento giocoso, anche se in questi ultimi è sempre prodotta da un contatto fisico, come il solletico o la finta lotta".


La risata nella storia

Platone pretendeva che fosse regolamentata nella sua Repubblica perché poteva disturbare l'ordine costituito.

Socrate ne raccomandava un uso parsimonioso, come il sale.

Aristotele riteneva che distinguesse l'uomo dalla bestia.

Pitagora la proibiva invece ai suoi discepoli.

Thomas Hobbes la considerava un'espressione di superiorità, di potere e di gloria.

Arthur Schopenhauer diceva che "È la percezione di un salto logico".

Sigmund Freud la vedeva come una valvola di sicurezza per sfogare energia repressa.

Nei Vangeli non si parla mai di un Gesù ridente. E si racconta che nel Medioevo all'università di Parigi gli studiosi del tempo dedicarono giornate di riflessione per tentare di rispondere al quesito: "Ma Gesù ha mai riso?". Nessuno, però, lo sa.


La risata nella testa

La risata coinvolge entrambi gli emisferi cerebrali. Essa attiva una zona corticale che assiste l'area motoria principale nel controllo dei movimenti. C'è una regione di un paio di centimetri che controlla lo scoppio di risa; la sua stimolazione elettrica provoca una risata immediata e irrefrenabile.

Ma che cosa rende il riso così contagioso? L'irresistibilità della risata degli altri ha le sue radici nei meccanismi neurologici. L'ipotesi più verosimile è che gli esseri umani posseggano una sorta di detector uditivo, un circuito neuronale che risponde unicamente alla risata. Qualcosa di simile succede per lo sbadiglio, ma in questo caso il processo neuronale coinvolge un'area visiva del cervello. Un'altra stranezza è che la risata non viene mai intercalata in un discorso, ma si tende a ridere alla fine delle frasi.


"Il riso fa buon sangue"

Sul fatto che ridere sia una medicina, gli studiosi avanzano qualche dubbio. Ridere è un'attività energetica che aumenta il battito cardiaco e la pressione del sangue, ma che questi effetti fisiologici facciano bene alla salute, è ancora da dimostrare.

Già, da dimostrare scientificamente. Signori Scienziati, ve lo dico io: ridere, con moderazione fa sicuramente bene. Testate pure su voi stessi!
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Messaggio  annalaura Mar 30 Set 2008, 13:02

Rabbia e ostilità
a cura dell'Ospedale San Raffaele

espressioni indecifrabili per i timidi

Un gruppo di ricercatori dell'Università Vita-Salute San Raffaele ha dimostrato che esiste una correlazione tra la timidezza nei bambini e la loro capacità di interpretare le espressioni del volto.

I bambini timidi hanno più difficoltà a interpretare correttamente le espressioni di rabbia o di ostilità dei loro coetanei: a questa conclusione è giunto lo studio di un gruppo di ricercatori dell'Università Vita-Salute San Raffaele pubblicato sul numero di marzo della rivista scientifica con più alto impact factor in pediatria, il Journal of the American Academy of Child & Adolescent Psychiatry. I ricercatori hanno cercato di capire se esiste una relazione tra il grado di inibizione nel comportamento dei bambini timidi, più predisposti a sviluppare in età adulta disturbi d'ansia, e la loro capacità di riconoscere e decifrare l'espressione del volto dei coetanei.

Lo studio si è sviluppato su tre livelli e ha coinvolto circa 150 scolari compresi tra i 7 ed i 9 anni di età. Inizialmente i bambini sono stati valutati dai loro insegnanti attraverso test che misurano quanto il temperamento tenda all'apprensione di fronte a cose nuove (scale Stevenson-Hinde & Glover Shyness to the Unfamiliar, e Cloninger’s Harm Avoidance) e il grado di ansia sociale (scala Liebowitz Social Anxiety adattata per bambini). Un'equipe di psicologi, ignari delle valutazioni date dagli insegnanti, hanno poi quantificato il grado di inibizione dei bambini attraverso parametri operativi, come ad esempio il numero di commenti spontanei in presenza di un estraneo. Infine, a tutti i bambini è stato chiesto di identificare le espressioni di loro coetanei rappresentate in una serie di foto standardizzate.

I risultati hanno mostrato che non solo le valutazioni degli insegnanti corrispondevano ai livelli di inibizione rilevati sul campo dagli psicologi - per cui i temperamenti più timidi erano anche i più inibiti - ma anche che quanto maggiore era la timidezza dei bambini tanto più alto era il numero degli errori commessi nell'interpretare correttamente l’espressione nelle foto dei coetanei. Inoltre, gli errori più comunemente commessi dai bambini più timidi non erano distribuiti in modo casuale ma più facilmente legati a espressioni di ostilità (rabbia e disgusto).

Marco Battaglia, professore associato di psicologia clinica all'Università Vita-Salute San Raffaele e primo autore dello studio, osserva: “La capacità di interpretare correttamente le espressioni del volto che esprimono le emozioni fondamentali (rabbia, gioia, disgusto, tristezza, paura, sorpresa) è certamente uno dei requisiti più importanti per una vita di relazione equilibrata. Immaginiamo per esempio cosa potrebbe causare nella vita di tutti i giorni una nostra incapacità di comprendere da una semplice occhiata se chi abbiamo di fronte in un'occasione lavorativa o sociale sia annoiato, stia approvando o sia in totale disaccordo con quanto stiamo dicendo. Questi dati mostrano per la prima volta che il grado di timidezza sociale di bambini in età scolare può predisporre a difficoltà nell'interpretare informazioni di natura relazionale da parte dei coetanei.”

Per molto tempo gli psicologi clinici hanno ipotizzato che il mondo interiore delle persone afflitte da disturbo d'ansia sociale dipendesse da aspettative negative rispetto al giudizio degli altri. Il risultato di questo studio suggerisce invece che vi possa essere una difficoltà nell'elaborazione dell'informazione interpersonale, difficoltà che si evidenzia presto nella vita nei soggetti eccessivamente timidi. Le implicazioni per il futuro comprendono la possibilità di inserire test di valutazione delle espressioni dei volti negli strumenti diagnostici del disturbo d'ansia sociale – disturbo che colpisce il 7-8% della popolazione generale - e che la corretta interpretazione dell'espressione dei volti possa rientrare negli obiettivi psicoterapeutici per questi bambini.

Lo stesso gruppo di ricercatori è impegnato a chiarire le cause e le manifestazioni precoci dell’ansia sociale nei bambini, a partire dai primi anni di scuola. In particolare è possibile identificare due principali filoni:

1. accertare i processi cerebrali precoci che si verificano nel momento in cui un bambino guarda l’espressione di un coetaneo, per cercare cosa differenzi i bimbi più timidi a livello sia neurofunzionale sia genetico;

2. quantificare quanto e come i bimbi maggiormente ansiosi utilizzino porzioni di informazione visiva per arrivare ad identificare un’espressione del volto con rilevanza sociale. Lo studio è stato possibile grazie ad un finanziamento COFIN e dall'Independent Investigator Award della fondazione statunitense NARSAD.



Approfondimento

La capacità di un individuo di discriminare tra diverse espressioni emotive matura nei primi anni di vita, non è soggetta ad influenze culturali locali (un uomo della Nuova Guinea è in grado di leggere un espressione di gioia o di rabbia in un europeo che non ha mai visto prima) e probabilmente dipende da un complesso insieme di funzioni cerebrali che devono integrare informazioni di natura emotiva e cognitiva.

Alcune zone del cervello si ‘accendono’ selettivamente solo a fronte di alcune espressioni: l'amigdala – una porzione del cervello emotivo - si attiva con una certa selettività quando vediamo anche solo per pochi millisecondi un'espressione di paura, mentre altre aree dell'encefalo, come il giro fusiforme, si attivano ogniqualvolta si guarda un volto. Da queste osservazioni ci si potrebbe aspettare che gli esseri umani si assomiglino tutti per le capacità e le modalità di lettura delle espressioni del volto. Le evidenze sperimentali suggeriscono invece differenze tra gli individui per il grado di accuratezza con cui identificano le espressioni dei propri simili e per le modalità di attivazione del cervello a fronte di tali espressioni. Per questi motivi, in tempi recenti le espressioni del volto hanno attirato grande interesse, diventando una sorta di ‘test proiettivi’ utilizzati da psicologi e neuroscienziati.

In psicologia dello sviluppo la disposizione del temperamento ad un elevato grado di timidezza interpersonale, caratterizzata dall'evitare situazioni sociali e nuove, un certo grado di introversione e la titubanza nell'iniziare a giocare coi coetanei corrispondono alla dimensione dell’ ’inibizione comportamentale’, un aspetto del comportamento infantile esplorato in un certo numero di studi. L'inibizione comportamentale può preludere al disturbo d’ansia sociale nell'adulto, una condizione che interessa fino al 7-8% della popolazione generale, e che comporta una considerevole limitazione della vita sociale e lavorativa.



STUDIO PUBBLICATO SU Journal of the American Academy of Child & Adolescent Psychiatry, marzo 2004

Children’s Discrimination of Expressions of Emotions: Relationship With Indices of Social Anxiety and Shyness

Marco Battaglia (1,2), Anna Ogliari (1), Annalisa Zanoni(1), Federica Villa (1), Alessandra Citterio (1), Flora Binaghi (1), Andrea Fossati (1), Cesare Maffei (1)

(1) Facoltà di Psicologia, Università Vita-Salute San Raffaele; Dipartimento di Scienze Neuropsichiche, Istituto Scientifico Universitario San Raffaele; (2) Dipartimento di Psichiatria infantile, IRCCS Eugenio Meda, Bosisio Parini
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Messaggio  annalaura Mar 30 Set 2008, 13:31

Tenere un diario fa male
a cura della redazione GT

Lo dimostra uno studio Inglese.

Tenere un diario fa male alla salute. A gettare ombre su un'abitudine romantica e d'altri tempi sono gli psicologi britannici della Glasgow Caledonian University, autori di un singolare studio illustrato nei giorni scorsi a un convegno e descritto su “NewScientist”. I ricercatori hanno scoperto che chi tiene regolarmente un diario è più a rischio di mal di testa, insonnia, problemi digestivi e disagi sociali rispetto a chi non lo fa.

Un risultato che ha sorpreso gli stessi psicologi. “Ci aspettavamo che i 'compilatori' di diari traessero qualche beneficio dalla loro abitudine, o almeno che stessero come gli altri. Invece sembra proprio che stiano peggio”, commenta Elaine Duncan. “Insomma, probabilmente sarebbe molto meglio evitare di scrivere”. Il gruppo ha esaminato 94 compilatori di diario, confrontando la loro salute con quella di 41 'non-diaristi'.

Tutti i soggetti dello studio erano studenti della Staffordshire University. “Abbiamo deciso di verificare l'ipotesi che scrivere abbia un potere catartico”, spiega la Duncan. E per la prima volta sono state esaminate persone che tenevano un diario per abitudine e non su invito dei medici, magari per superare un trauma. Così si è visto che, statisticamente, i 'compilatori' avevano una salute peggiore rispetto agli altri, e che a stare peggio erano quelli che, sul diario, avevano riportato anche uno o più eventi traumatici. “Queste persone, in particolare, erano più vulnerabili al mal di testa”.

Ma come spiegare questa maggiore vulnerabilità? Secondo la Duncan i 'compilatori' di diari, anziché liberarsi di un evento negativo una volta per tutte, magari scrivendolo, tornano in continuazione sulle loro sfortune, le ricordano, le rivivono. E questo non fa bene, perché così continuano a portarsi dietro traumi ed emozioni negative. “Sarebbe meglio, probabilmente, evitare di cadere in un ciclo ripetitivo, da 'ruminanti' ”, suggerisce la psicologa. Ma la stessa Duncan ammette che lo studio non prova se sia il diario a causare i problemi di salute, o questi ultimi a 'spingere' le persone a tenere un diario.

L'unica vera evidenza emersa dalla ricerca è il collegamento fra i vari 'acciacchi' e l'inclinazione a registrare con regolarità avvenimenti o pensieri. In futuro gli studiosi britannici sperano di esplorare più a fondo questo aspetto, chiedendo ai volontari di scrivere diari a tema: cioè solo con eventi negativi o solo con fatti positivi. Per capire se in qualche modo questi due diversi approcci influiscono sulla salute.

In collaborazione con la redazione GT
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Messaggio  annalaura Mar 30 Set 2008, 13:32

Volo: dalla paura al piacere
di: Alessandra Retico

Così si vince la fobia del secolo.

Anche alcuni piloti hanno paura di volare. Certo che hanno paura, sempre. Patrick Smith, pilota e scrittore, 38 anni, autore della rubrica “Ask the pilot” su Salon. com e in Italia su Internazionale diventata anche un fortunato libro (Fusi Orari), è uno di loro. Gli hanno chiesto se teme di precipitare, lui ha risposto: “Di solito non abbiamo fantasie raccapriccianti né soffriamo di ansia fobica”. Insomma se gli trema il cuore le mani le tiene lo stesso ferme sulla cloche (il volante) e guida. Tanto gli aerei cadono poco, affermazione veritiera ma insufficiente per l'aviofobico.

A chi in aereo non ci sale neanche morto e se invece è costretto vive le ore più brutte della sua vita, si racconta una storiella, un po' surreale ma più persuasiva di molti numeri: se si ipotizza che un volo duri in media una sola ora, un neonato che trascorra l'intera esistenza a bordo di un aeroplano dovrà volare per 285 anni per raggiungere i due milioni e mezzo di ore che statisticamente comportano un incidente. Oppure quell'altra: il momento più pericoloso di un volo è il tragitto da e per l'aeroporto.

Eppure: come fa questo coso pesante a rimanere in aria ? Se non funziona più nessun motore un grosso jet commerciale può planare fino ad atterrare o non c'è più speranza? E tutto questo scricchiolare? Quante probabilità ci sono di venire risucchiati dal portellone che si spalanca come nei film? Del terrore e delle domande che suscita si occupa un servizio di Mente&Cervello di novembre. Testimonianze, rimedi, consigli, corsi per rompere la gabbia dell'ansia. Come quelli che fanno anche Alitalia e altre compagnie, con successo: il 95% di quelli che dal 2007 a oggi hanno seguito i seminari del vettore di bandiera sono tornati a bordo.

Luca Evangelisti, psicologo e psicoterapeuta da quattro anni responsabile di “Voglia di volare”, spiega: “Nel 90% dei casi la paura è determinata da forti ripercussioni psicologiche legate ad eventi avvenuti nei tre anni precedenti alle manifestazioni di panico. Rotture affettive, lutti familiari o gravi malattie. Ma anche eventi positivi e molto coinvolgenti, come la nascita di un figlio”. Quelle emozioni forti che si incagliano e bloccano tutto. Il corso fa fare un po' di ginnastica alla psiche per rimetterla in moto.

Disinnesca il terrore degli spazi chiusi, dello stare sospesi, delle turbolenze dell'aria che somigliano a quelle dentro. Esistono anche, all'americana, dvd per l'autoaiuto e terapie con simulatori di volo. Anche ipnosi per chi ha provato tutto, o leggeri “ammorbidenti” farmacologici del panico. Per quelli cui sudano le mani già in agenzia, che i battiti ce li hanno a mille, che l'angoscia pura è la sola certezza.

Un sondaggio Doxa (2005) dice che dell'aeroplano ha paura circa il 50% degli italiani. Più le donne (65%) che gli uomini (48%). Sul mensile una tesi: la mancanza di informazioni e l'incapacità di cedere il controllo tra le principali cause dell'aviofobia (e di altre paure, del resto). Allora ecco le statistiche dell'Aviation Safety Network, un database che raccoglie i dettagli di oltre 10 mila tra incidenti, attentati e guasti in volo che hanno funestato i cieli a partire dal 1952.

Dimostra che oggi volare è circa sei volte più sicuro che nel 1980 e che c'è una probabilità su 14 milioni di morire in una sciagura aerea: si potrebbe volare per 26mila anni prima di andare incontro al proprio destino. Però, la paura ha sempre domande di riserva: che succede se un pilota si addormenta a metà volo ? Smith, allegramente pragmatico: “E se un chirurgo si addormenta a metà operazione ?”.


Data articolo: giugno 2008
Fonte: www.repubblica.it
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Messaggio  annalaura Mar 07 Lug 2009, 12:25

Che fatica dire grazie

“Chissà se le ho detto abbastanza quanto le volevo bene …”.
Il rimpianto, quando perdiamo una persona cara, perché ci si lascia dopo una storia d’amore, o d’amicizia, perché si cambia vita, o perché l’altro muore, può essere rapidamente zittito, come una scomoda inquietudine, o diventare un tarlo incistato e doloroso. Sul nucleo duro della mancanza di tempo e di attenzione per dirsi l’affetto, la tenerezza, l’amore, si radica un pensiero ancora più disturbante: perché non sono riuscito a dire “grazie” davvero?
Perché questo rimpianto affiora, quando affiora, troppo tardi? Perché, uomini e donne, facciamo così fatica ad esprimere i sentimenti positivi, mentre quelli negativi ci escono letteralmente esplosivi, pieni di aggressività e distruttività?
Le ragioni della sostanziale difficoltà ad esprimere la gratitudine e l’affetto sono molteplici. Innanzitutto, la capacità di dire grazie dipende dall’educazione. Non tanto, e non solo, nel senso formale di riti e modi– anche se la forma è espressione di contenuti e sentimenti– ma nel senso di capacità di esprimere il meglio di sé sintonizzandosi davvero con le emozioni degli altri. Un’educazione che comincia da piccolissimi: non solo nell’incoraggiare il bambino a dire grazie, quando riceve qualche cosa ma, più in generale, nel fargli respirare e vedere la capacità di esprimere sentimenti positivi nella coppia, in famiglia, in asilo, a scuola. I bambini imparano (soprattutto) con gli occhi, grazie ai loro neuroni specchio. Ecco che allora l’antico detto latino: “Verba volant, exempla trahunt”, le parole volano, gli esempi trascinano, assume nuova pregnanza grazie alle rivoluzionarie scoperte su quanto l’apprendimento, nel bene e nel male, sia figlio, innanzitutto, dell’abilità visiva e motoria. I bambini ci filmano in ogni istante con i loro occhi attenti e il loro cervello; e, filmandoci, imparano. Insegniamo a ringraziare, dunque, ma soprattutto mettiamolo in pratica quotidianamente, affinché diventi uno stile, una capacità profonda di esprimere sentimenti positivi, facendo sentire l’altro importante e prezioso ai nostri occhi e per il nostro cuore. Gratitudine come segno di amore? Certamente, e nel senso più ampio. La capacità di esprimere la gratitudine, così rara oggi, dipende infatti dall’empatia. Più si è capaci di sintonizzarsi sui sentimenti degli altri, di sentire le loro emozioni e i loro desideri, più si riesce a capire quanto sia importante per ciascuno di noi sentirci “riconosciuti”, mentre esprimiamo al meglio un talento o un’attenzione, mentre svolgiamo un lavoro con diligenza. Oppure mentre proviamo un sentimento di qualità. E’ segno di educazione ringraziare sempre, almeno con una telefonata o un biglietto affettuoso, quando si riceve un regalo, evitando la gelida freddezza degli sms o, peggio, un ingeneroso silenzio. E’ segno di autostima e sicurezza interiore ringraziare, quando un altro, amico, familiare o innamorato che sia, ci fa una cortesia. Paradossalmente, più è forte il legame d’affetto o d’amore, più sembra sia difficile ringraziare di cuore. Invece, è proprio segno di capacità di amare prendersi il tempo per soffermarsi ad apprezzare, e ringraziare, proprio le persone che ci stanno più vicine, familiari in testa. Sono loro le persone per le quali, se abbiamo un cuore, nasce più forte il rimpianto quando ci rendiamo conto che, improvvisamente, è diventato troppo tardi per esprimere la nostra gratitudine.
Spiacevole dirlo, ma, oltre la maleducazione, uno dei fattori che blocca di più la capacità di dire grazie è l’invidia, conscia o inconscia che sia. Invidia per quello che l’altro è o fa, con declinazioni diverse a seconda dell’età. L’invidia tra giovani, o verso i giovani, nasce dalle possibilità (in più) che ci sembra l’altro/a abbia grazie alla giovinezza, alla bellezza, al fascino, all’entusiasmo, alla voglia di vivere che per ragioni oscure a noi sembrano preclusi. Potremmo definirla un’invidia “prospettiva”. L’invidia della maturità si scatena, invece, contro quello che l’altro o altra hanno realizzato negli affetti, nella professione, nella vita, con le proprie forze, la propria fatica, i propri talenti. Un’invidia “retrospettiva”, che ha connotazioni più amare, più biliose, più insidiose, più distruttive. In entrambi i casi, invece di fare una sana autocritica, l’invidioso/a vive l’espressione della gratitudine come una “diminutio”, come una perdita di valore personale, quasi un’umiliazione. Al punto che il ricevere un gesto gentile, un regalo, una cortesia, un favore, può indurre addirittura una risposta aggressiva, che nasce dalla rabbia interiore che ogni invidioso prova in dosi perniciose.
E allora? Perché non considerare che gentilezza e gratitudine, nel tono, nei modi di fare, e nelle parole scelte per dire grazie, sono un formidabile antistress? Lo sono per chi la esprime, perché per farlo di cuore ci dobbiamo sintonizzare sui nostri sentimenti positivi: così facendo, siamo i primi a beneficiare del sorriso che regaliamo, dell’abbraccio che riscalda il cuore, del dono che ci illumina scegliere, della lettera che ci dà gioia scrivere. E lo sono, certamente, per chi la riceve: tutti, ad ogni livello, abbiamo bisogno di sentirci apprezzati, di esistere nello sguardo, nell’attenzione, nella valutazione positiva degli altri. Sono queste onde positive che ci fanno sentire di esistere nel lavoro, in famiglia, in coppia, di meritare di essere amati, che vincono ogni solitudine. Che ci fanno raddoppiare l’energia e l’entusiasmo, la voglia di fare, di impegnarci, che raddoppiano l’amore e la tenerezza, che accrescono tutti i nostri neurotrasmettitori, come l’ossitocina, che aumenta la profondità e l’intensità dei nostri legami d’amore. E’ (anche) così che l’amore non si usura ma anzi cresce nel tempo, perché è nutrito a livello sostanziale, perfino biologico, come oggi sappiamo, dalla nostra capacità di stare insieme, gratificando l’altro con la nostra capacità di non dare per scontato, o, peggio, dovuto, tutto quello che fa per noi. Educhiamo e (ri)educhiamoci a dire grazie, a illuminare la nostra (e altrui) vita con questa stupenda capacità di far sentire gli altri preziosi per noi. Oggi ancora più di ieri, perché è nei giorni difficili che apprezziamo quanto l’essenziale sia invisibile agli occhi, ma visibilissimo per il cuore.

Alessandra Graziottin
dal sito: http://italianmedia.com.au/w3/index.php?option=com_content&view=article&id=175%3Ache-fatica-dire-grazie-&catid=24%3Apassioni-a-solitudini&Itemid=14&lang=it
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Messaggio  annalaura Mar 07 Lug 2009, 13:05

Alcuni link:

http://www.bricioledipane.it/Pensieri-positivi/Un-altro-giorno.html

http://www.progettocounseling.it/Emozioni-positive_834038.html

http://www.geocities.com/Athens/Forum/9647/SentimentiSessualita.htm
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